Ha vinto il Premio letterario nazionale
"C'era l'acca fuori dal disagio - II edizione 2011 e inserito nell'omonima antologia
ANIMA
Quando ero piccola correvo a perdifiato, senza fermarmi prima di capitombolare a terra come una palla sgonfia che non ha più forza per girare ancora. E ridevo, ridevo. Mi faceva il solletico la vita, lasciandomi a bocca aperta per la meraviglia ad ogni nuova sorpresa.
Così bisognerebbe crescere, con lo stupore stampato dentro, sempre.
Poi ho preso il ritmo delle persone adulte, quasi già stanca nell’andirivieni quotidiano. Ho sorriso meno e pianto molto. Fino al giorno della mia resurrezione, quando aprendo la finestra ho guardato il cielo, che era sempre là, con il suo azzurro e il suo sole. Con i suoi uccelli in volo. L’anima si è alzata in canto, rispecchiandosi di nuovo negli occhi dell’esistenza.
Alcune persone vengono a trovarmi a casa, facciamo una pausa nella loro vita prendendo un caffè, facendo finta che tutto vada bene. Sono tutte preoccupate e sempre con una fretta nei gesti, come se volessero scappar via o non essere mai venute. Cerco di tirarle su, dando leggere pacche ai loro cuori perché non si lascino andare, ritrovando il coraggio di scendere le scale e ricominciare a camminare.
Dico loro “Sentitevi una palla che gioca, tiratevi a canestro, andate in rete”. Loro mi guardano smarrite e abbassano lo sguardo, si vergognano un po’, di me, lo so, del mio essere ostinatamente viva. “Vi aspetto, domani e dopo ancora. Voglio vedervi allegri, amici miei. Vedrete, dai, che ce la farete”. Non parlano molto di loro, i miei ospiti. Mi sento come un confessore di peccatori reticenti che vorrebbero alleggerirsi ma non sanno trovare le parole per perdonarsi davvero. Bene, io vi assolvo per tutto ciò che fate, per i vostri pensieri impuri che vi dicono che non siete degni dell’amore, per le vostri notti insonni cercando di espiare la colpa di esser nati. Vi scorgo, a volte, che vi guardate nello specchio, cercando di rassicurarvi che siete a posto, il vestito che cade coprendo ogni difetto, i capelli senza forfora che cade sulla giacca, la gonna plissettata che non vi dona affatto ma vi fa sentire bene.
Lo so, i sogni spesso ci lasciano a terra, mentre loro se ne vanno via lontano. Pensavamo di mettere su casa ed essere felici, con i nostri figli e le nostre domeniche di festa. Non pensavamo di maturare come le mele, con la pelle raggrinzita, nessuno che ci colga più per addentarci, buoni solo per fare marmellate.
D’accordo, qualcosa è andato storto, è inutile rimestare nel calderone dei nostri fallimenti.
Non voglio più sentirvi ripetere la litania “Se avessi fatto, se fossi andato, se non fosse successo”, che avvelena il vostro sangue. L’ho fatto tante volte anch’io, fino a scordarmi altre parole.
Vorrei che tu, signora che dimostri più anni di quel che hai, con le rughe come ragnatele agli angoli degli occhi, vedessi la luce sfolgorare dal fondo dei tuoi occhi. Quando incontri, negli attimi in cui dimentichi di mormorare il tuo mantra amaro, riflessi di altri, scaturiti da abissi come i tuoi, arcobaleni appaiono nel cielo e la terra si colora come una tavolozza di un pittore estroso. Cammini con le spalle un po’ arricciate, sotto il collo increspato come un’onda. Ti guardo e dentro ti esorto: “Corri incontro al tuo destino”. E ripenso alla mia gioventù più bella, a tutti i desideri inseguiti come in una caccia al tesoro di cui non c’era fine. Ma il traguardo si è palesato anche troppo presto e sfogliare l’album dei ricordi può fare solo male. Per questo non tengo più un diario, ma guardo ciò che ogni giorno mi porta, aprendo la porta per trovarvi un sorriso, una lettera, un nuovo amico, anche solo una ventata che sa di primavera, una nostalgia dolce acchiappata al volo.
Diventerò vecchia. Coltivo in me un campo di girasoli per non ritrovarmi con i pensieri irrigiditi e l’incapacità di affrontare la discesa senza appigli. Per voi che non vi aspettate niente dietro l’angolo che girerete un giorno, preparo una coperta che sappia darvi conforto nelle fredde sere invernali. Quando la luce, abbassatasi presto dopo un’estate passata a vivere intensamente, lascerà posto al tempo della riflessione non vi fate trovare impreparati. Prendete una tazza di tè caldo nelle mani e sorridete con garbo e gratitudine a ciò che siete stati.
Io lo faccio già da ora. Come un pellegrino su un sentiero lungo quanto la sua vita, intento a pregare a ogni tappa del suo viaggio. Ogni passo un assaporare di ciò che lo circonda. E come un esploratore in marcia, con la mia fiasca piena d’acqua e il pane scaldato dal sole del mattino, proseguo senza sosta. Non ho una meta da raggiungere, sarebbe come costruirsi miraggi nel deserto. Lo scopo è essere presente ogni momento. Non conosco il tragitto che mi manca. So che dopo essermi abbattuta in una palude senza uscita, mi sono arrampicata prima a fatica, poi senza più paura. Ho passato anni nelle tenebre, la solitudine è stato un muro senza porte, l’abisso sotto mi chiamava e ho dovuto resistere con tutte le mie forze per non lasciarmi andare, con le braccia serrate contro i fianchi. Chi ti vuole aiutare dopo un po’ si spazientisce, poi si allontana. È difficile capire perché si tengono le finestre chiuse quando ci manca l’aria. Nella palude non arriva neanche un refolo leggero e le notti più clementi sono quelle insonni, quando le immagini distorte non vengono a trovarci. Nel buio rimbomba solo la sua eco. Se non vi siete mai smarriti e non conoscete questo posto non vi darò indicazioni su come arrivarci. Non vale la pena visitare l’inferno, dove non si possono condividere né il dolore né il silenzio. Ascoltate l’anima che vi esorta a cercare mete diverse sulla vostra mappa. E sorridete, correte, amate.
Guardate verso il cielo e respirate…
"C'era l'acca fuori dal disagio - II edizione 2011 e inserito nell'omonima antologia
ANIMA
Quando ero piccola correvo a perdifiato, senza fermarmi prima di capitombolare a terra come una palla sgonfia che non ha più forza per girare ancora. E ridevo, ridevo. Mi faceva il solletico la vita, lasciandomi a bocca aperta per la meraviglia ad ogni nuova sorpresa.
Così bisognerebbe crescere, con lo stupore stampato dentro, sempre.
Poi ho preso il ritmo delle persone adulte, quasi già stanca nell’andirivieni quotidiano. Ho sorriso meno e pianto molto. Fino al giorno della mia resurrezione, quando aprendo la finestra ho guardato il cielo, che era sempre là, con il suo azzurro e il suo sole. Con i suoi uccelli in volo. L’anima si è alzata in canto, rispecchiandosi di nuovo negli occhi dell’esistenza.
Alcune persone vengono a trovarmi a casa, facciamo una pausa nella loro vita prendendo un caffè, facendo finta che tutto vada bene. Sono tutte preoccupate e sempre con una fretta nei gesti, come se volessero scappar via o non essere mai venute. Cerco di tirarle su, dando leggere pacche ai loro cuori perché non si lascino andare, ritrovando il coraggio di scendere le scale e ricominciare a camminare.
Dico loro “Sentitevi una palla che gioca, tiratevi a canestro, andate in rete”. Loro mi guardano smarrite e abbassano lo sguardo, si vergognano un po’, di me, lo so, del mio essere ostinatamente viva. “Vi aspetto, domani e dopo ancora. Voglio vedervi allegri, amici miei. Vedrete, dai, che ce la farete”. Non parlano molto di loro, i miei ospiti. Mi sento come un confessore di peccatori reticenti che vorrebbero alleggerirsi ma non sanno trovare le parole per perdonarsi davvero. Bene, io vi assolvo per tutto ciò che fate, per i vostri pensieri impuri che vi dicono che non siete degni dell’amore, per le vostri notti insonni cercando di espiare la colpa di esser nati. Vi scorgo, a volte, che vi guardate nello specchio, cercando di rassicurarvi che siete a posto, il vestito che cade coprendo ogni difetto, i capelli senza forfora che cade sulla giacca, la gonna plissettata che non vi dona affatto ma vi fa sentire bene.
Lo so, i sogni spesso ci lasciano a terra, mentre loro se ne vanno via lontano. Pensavamo di mettere su casa ed essere felici, con i nostri figli e le nostre domeniche di festa. Non pensavamo di maturare come le mele, con la pelle raggrinzita, nessuno che ci colga più per addentarci, buoni solo per fare marmellate.
D’accordo, qualcosa è andato storto, è inutile rimestare nel calderone dei nostri fallimenti.
Non voglio più sentirvi ripetere la litania “Se avessi fatto, se fossi andato, se non fosse successo”, che avvelena il vostro sangue. L’ho fatto tante volte anch’io, fino a scordarmi altre parole.
Vorrei che tu, signora che dimostri più anni di quel che hai, con le rughe come ragnatele agli angoli degli occhi, vedessi la luce sfolgorare dal fondo dei tuoi occhi. Quando incontri, negli attimi in cui dimentichi di mormorare il tuo mantra amaro, riflessi di altri, scaturiti da abissi come i tuoi, arcobaleni appaiono nel cielo e la terra si colora come una tavolozza di un pittore estroso. Cammini con le spalle un po’ arricciate, sotto il collo increspato come un’onda. Ti guardo e dentro ti esorto: “Corri incontro al tuo destino”. E ripenso alla mia gioventù più bella, a tutti i desideri inseguiti come in una caccia al tesoro di cui non c’era fine. Ma il traguardo si è palesato anche troppo presto e sfogliare l’album dei ricordi può fare solo male. Per questo non tengo più un diario, ma guardo ciò che ogni giorno mi porta, aprendo la porta per trovarvi un sorriso, una lettera, un nuovo amico, anche solo una ventata che sa di primavera, una nostalgia dolce acchiappata al volo.
Diventerò vecchia. Coltivo in me un campo di girasoli per non ritrovarmi con i pensieri irrigiditi e l’incapacità di affrontare la discesa senza appigli. Per voi che non vi aspettate niente dietro l’angolo che girerete un giorno, preparo una coperta che sappia darvi conforto nelle fredde sere invernali. Quando la luce, abbassatasi presto dopo un’estate passata a vivere intensamente, lascerà posto al tempo della riflessione non vi fate trovare impreparati. Prendete una tazza di tè caldo nelle mani e sorridete con garbo e gratitudine a ciò che siete stati.
Io lo faccio già da ora. Come un pellegrino su un sentiero lungo quanto la sua vita, intento a pregare a ogni tappa del suo viaggio. Ogni passo un assaporare di ciò che lo circonda. E come un esploratore in marcia, con la mia fiasca piena d’acqua e il pane scaldato dal sole del mattino, proseguo senza sosta. Non ho una meta da raggiungere, sarebbe come costruirsi miraggi nel deserto. Lo scopo è essere presente ogni momento. Non conosco il tragitto che mi manca. So che dopo essermi abbattuta in una palude senza uscita, mi sono arrampicata prima a fatica, poi senza più paura. Ho passato anni nelle tenebre, la solitudine è stato un muro senza porte, l’abisso sotto mi chiamava e ho dovuto resistere con tutte le mie forze per non lasciarmi andare, con le braccia serrate contro i fianchi. Chi ti vuole aiutare dopo un po’ si spazientisce, poi si allontana. È difficile capire perché si tengono le finestre chiuse quando ci manca l’aria. Nella palude non arriva neanche un refolo leggero e le notti più clementi sono quelle insonni, quando le immagini distorte non vengono a trovarci. Nel buio rimbomba solo la sua eco. Se non vi siete mai smarriti e non conoscete questo posto non vi darò indicazioni su come arrivarci. Non vale la pena visitare l’inferno, dove non si possono condividere né il dolore né il silenzio. Ascoltate l’anima che vi esorta a cercare mete diverse sulla vostra mappa. E sorridete, correte, amate.
Guardate verso il cielo e respirate…