Concorso "Parole di Cristallo" - Edizione 2010
Caffè Letterario La Luna e il Drago SEZIONE NARRATIVA 1° Classificato Il ritorno dell’airone di Ornella Turrini - Roma A mia madre per il coraggio A mio padre per il silenzio Tutta la rabbia è andata via. Si è adagiata sulla sabbia come un’onda stanca. Sento il richiamo del mio amore antico. Me lo restituisce la risacca col suo vero volto. Avremmo sofferto meno se io lo avessi riconosciuto in tempo? Siamo su questo treno che sembra uscito dai ricordi della mia infanzia. Sedili di legno, andatura lenta. E’ un po’ che viaggiamo su queste panche scomode. Fino a qualche ora fa eravamo in una comoda carrozza con le imbottiture morbide. Il treno stanca sempre dopo ore e il nostro viaggio sembra interminabile. Ci dobbiamo spostare più spesso per il dolore alla schiena, alle gambe. Però c’è un’aria più rilassata, come una storia d’altri tempi. Il cambio è stato brusco, la coincidenza di corsa, il peso del bagaglio. Ora siamo sistemate e tiriamo il fiato. Il pensiero se ne può andare in giro prima di raggiungere la prossima stazione. Non so quando arriveremo, siamo in corsa da così tanto che il tempo si è dilatato e ha rallentato. Si è come espanso in una bolla sospesa. Ti guardo. Hai l’aria rilassata. Non ti ho mai vista così prima d’ora. E ora che tu riposi, col capo reclinato su un cuscino rimediato, sento che anche il mio respiro ha rallentato. E’ strano, mi vengono in mente solo episodi della mia infanzia. sembra di fare un percorso a ritroso, mentre il treno avanza. Torno spesso col pensiero ai nostri pranzi d’estate, tutti insieme nel giardino magico dei miei primi ventisei anni di vita. I cespugli di pitosforo, le gardenie, i ciclamini, il glicine. I viali, la pineta, l’altalena. Anche tu rifiorivi e la felicità per me ha quelle immagini. A casa ho ritrovato delle vecchie foto. Tu e papà, in una Roma che non ho mai conosciuto. Eravate bellissimi, lo siete sempre stati. Solo ultimamente il tuo corpo si è arreso. Il tuo viso, però, quello è rimasto giovane. Anche adesso, con il tempo che avanza, hai la pelle distesa, più fresca della mia. Mi chiedo cosa pensi, sembri così lontana. Ho paura di averti perso, che il tuo pensiero sia così al di là di me che non mi ritroverai più. Segui una tua storia, quella che ti racconti da anni, che esclude la realtà. Una storia che non riesco a comprendere e che mi fa arrabbiare. Non ho mai razionalizzato questi miei sentimenti, così forti, così oscuri. Quando mi prendono sento solo la rabbia che monta, una rabbia così profonda che non riesco a frenare, come un demone che mi possiede. Adesso sembri libera dai tuoi fantasmi. I miei, invece, si agitano dentro di me e mi lasciano riposare di rado. Il treno cammina sulla sua strada buia, fuori è la notte ma la mente non dorme. Mi chiedo in continuazione cosa dovrei fare, cosa avrei dovuto fare per rendere la mia vita migliore, per placare i conflitti nella mia anima. Quando il pensiero si riposa vedo tutto con gli occhi della tranquillità. Penso a te, al nostro rapporto così complesso. A quanta pace potrebbe esserci se solo aprissi l’orizzonte della mia paura. Ed è solo paura di vivere. Gallerie ne incontriamo poche. Sono contenta, perché sembrano fissare il pensiero. E se arrivano mentre il cuore si agita, se mi piombano addosso mentre formulo un mantra cattivo, mi trasportano nell’inquietudine di tutta la loro lunghezza. A volte, a volte possono essere come la nebbia che attenua il ricordo ma solo quando mi catturano con la mente distratta. Vorrei chiederti tante cose, tutte quelle di cui mi hai raccontato e che non ricordo, tutte quelle di cui mi hai parlato e che non ho ascoltato. Ho già fatto questo sbaglio una volta, il tempo è passato e non ho mai fatto quella domanda. Papà mi accennò una volta dei suoi sogni e la voce mi è sempre rimasta sospesa sulle labbra (“Quali erano i tuoi sogni, papà?”). Era un momento che aspettava da anni, per noi che non eravamo capaci di esprimere i nostri sentimenti con le parole, che lasciavamo tutto sottinteso, quando a volte i richiami silenziosi non bastano. Sai, papà, adesso sono contenta perché in quella frase mi hai raccontato tutto quello che eri e io ti ho compreso. E nel mio silenzio sospeso mi hai riconosciuta come una parte di te. Tu, invece, tu hai bisogno di parlare e di essere ascoltata. Hai bisogno di tirare fuori dai tuoi cassetti tutte le cose gelosamente conservate. Quelle che ti fanno sorridere ancora e quelle che avresti voluto buttar via tanto tempo fa, insieme all’impronta della loro ombra. Io non sono capace di ascoltarti, chissà perché. Eppure racconti belle storie, piene di vita, della mia vita in embrione, mia nonna, la mia famiglia. La tua giovinezza. Anche i tuoi sogni hanno lasciato tracce luminose per la strada. Le raccolgo e ne faccio tesoro, la tua eredità. Ti seguo come un pulcino, riottoso ma fedele. Quando ci dimentichiamo di dover combattere dalle alte mura della nostra solitudine, siamo docili come animali al pascolo. Ci ricordiamo di amarci, come madre e figlia. Silenzio. Prendo le tue mani. Sono gonfie. Le massaggio per favorire la circolazione del tuo sangue, che è anche il mio. Sono sola da molto tempo, mi sento come una pianta senza luce e senz’acqua. Vivo succhiando dal fondo della terra. Chissà perché si riesce a scegliere l’infelicità come matrice della propria vita. Tu hai realizzato il tuo sogno, il matrimonio, la famiglia. Si rimane prigionieri anche dei propri sogni quando immaginiamo il finale prima ancora di aver scritto la storia. Non credo che io e te abbiamo bisogno di eventi eccezionali, ci basterebbe poter respirare ogni tanto l’aria fresca della libertà. Viaggio senza fermate, quando arriveremo una di noi due dovrà scendere. Non sarà facile dirci addio anche se nella tenue luce dell’alba intuisco che la tua scia non mi perderà nel tuo nuovo cammino. Mi abbraccio, stringendomi le gambe strette al petto. Non voglio cadere di nuovo nell’oscurità dei miei pensieri. Lascio che vaghino liberi per andare a trovare le immagini che hanno fatto bello il nostro tempo. Sai, al parco dove tutte le mattine cerco un po’ di libertà, c’è un airone. E’ un bellissimo airone grigio, che spiega le sue ali silenziose in un volo di meraviglia. A primavera parte per altri luoghi e riappare in tarda estate. Ogni anno ci lascia in sospeso per giorni a chiederci se verrà di nuovo a riempire il nostro piccolo cielo con le sue grandi ali, a riassorbire il respiro trattenuto dei nostri polmoni per espanderlo di nuovo. Quando lo trovo, presto al mattino, nell’acqua bassa del lago, è la speranza di una nuova possibilità quella che mi si accende dentro e la confortante possibilità che tutto possa ancora accadere. Il treno rallenta, ansia nel petto. Stiamo per arrivare? Quando è durata questa traversata nella vita, più di ottant’anni per te, che li hai portati lottando come una guerriera, in perenne lotta con i demoni. Nelle tregue hai regalato splendidi sorrisi. Li ho ritrovati anch’essi tra foto dimenticate, ne sono rimasta colpita e felice li ho inclusi nell’album di memorie della mia esistenza. Adesso potrò portarli sempre con me, insieme a tutti i passi cadenzati, strascicati, mancati della nostra vita insieme. E liberata di tanti fantasmi posso finalmente guardarti con occhi nuovi e con il cuore libero e dirti serenamente: “Ti amo”. Stazione in arrivo. Il treno rallenta sempre più. Ti stringo ancora le mani, è difficile lasciarti andare ma tu sei più avanti di me, forse lo sei sempre stata, ignara di questa tua magia. Arrivederci madre mia, al tempo del sogno che ci rivedrà insieme. Raggiungi le alte vette che meriti, abbraccia papà da parte dei tuoi figli e tutti coloro, amati, che incontrerai. Sono scesa ma il treno è ripartito. Pensavo saresti stata tu a restare a terra ma il proseguimento per me è ancora qui, in questo mondo amato e lacerato, per cui devo lottare ancora. Il mio pensiero ti segue, smarrito, perché non sa la strada. Aspetterò che sia tu a ricercarmi e so che non mi lascerai mai sola, così come papà ha seguito le mie tracce finora. Silenzio. Sono al lago, sono passati mesi dall’inverno che ci ha divise. Nella luce forte di questa mattina d’agosto mi fermo davanti all’acqua, l’aspettativa e la delusione abitano insieme. Sembra ancora un giorno di attesa vana, ma poi… eccolo apparire dal fondo del canale. Il suo grido è un verso lacerante, poi il suo battito si fa silenzioso. Sorrido. L’airone è tornato. |
Racconto inserito nella raccolta antologica 50 PENNE D'AUTORE del Caffè Letterario La Luna e il Drago. La raccolta contiene i lavori premiati e/o segnalati dalla Giuria o dalla Critica a compendio di 5 anni di premi letterari "La Luna e il Drago"
|