poesia segnalata al Premio letterario nazionale
"C'era l'acca fuori dal disagio - II edizione 2011
e inserita nell'omonima antologia
PAZZA
Solitudine.
È come la sete che riarde in gola.
Forse non sono bella,
anche se ho i capelli lunghi e neri
e gli occhi come di favola,
spalancati sulla gente.
Forse è per come li guardo
che mi lasciano seduta
nell’angolo deserto.
Dicono che sia per non disturbarmi,
per non spaventarmi,
come se sussultassi ad ogni alito di vento.
Non ricordo di aver detto parole amare
o agitato le mani come schiaffi in volo.
Ho voglia di ridere e toccare
ma delicatamente mi abbassano le braccia.
Allora piango dentro di me
per far scorrere acqua alle mie piante,
il mio giardino segreto,
la vita nel mio cuore.
Non sono riuscita ad essere normale
come le mamme che sgridano i bambini
e portano la spesa per fare da mangiare.
Non sono con le scarpe lucide al lavoro,
parlando del più e del meno
con del caffè industriale nel bicchiere.
Sono riuscita male, un poco difettosa,
in fabbrica a riparare, la garanzia scaduta.
Potrei mettere un sorriso finto
sul mio viso
ma solo la gentilezza può farlo germogliare.
Quella delicata che ti accarezza
e ti fa scendere dal letto
canticchiando piano
e ti porta al confine di ciò che è conosciuto
per scoprire albe nuove e lietamente andare.
Ma qui finisce il prato su cui camminare.
Non ricordo di aver detto parole amare,
o agitato le mani come schiaffi in volo,
le ho alzate per sentire l’aria libera tra le mie dita
ma, triste sorpresa, ho incontrato un muro.
"C'era l'acca fuori dal disagio - II edizione 2011
e inserita nell'omonima antologia
PAZZA
Solitudine.
È come la sete che riarde in gola.
Forse non sono bella,
anche se ho i capelli lunghi e neri
e gli occhi come di favola,
spalancati sulla gente.
Forse è per come li guardo
che mi lasciano seduta
nell’angolo deserto.
Dicono che sia per non disturbarmi,
per non spaventarmi,
come se sussultassi ad ogni alito di vento.
Non ricordo di aver detto parole amare
o agitato le mani come schiaffi in volo.
Ho voglia di ridere e toccare
ma delicatamente mi abbassano le braccia.
Allora piango dentro di me
per far scorrere acqua alle mie piante,
il mio giardino segreto,
la vita nel mio cuore.
Non sono riuscita ad essere normale
come le mamme che sgridano i bambini
e portano la spesa per fare da mangiare.
Non sono con le scarpe lucide al lavoro,
parlando del più e del meno
con del caffè industriale nel bicchiere.
Sono riuscita male, un poco difettosa,
in fabbrica a riparare, la garanzia scaduta.
Potrei mettere un sorriso finto
sul mio viso
ma solo la gentilezza può farlo germogliare.
Quella delicata che ti accarezza
e ti fa scendere dal letto
canticchiando piano
e ti porta al confine di ciò che è conosciuto
per scoprire albe nuove e lietamente andare.
Ma qui finisce il prato su cui camminare.
Non ricordo di aver detto parole amare,
o agitato le mani come schiaffi in volo,
le ho alzate per sentire l’aria libera tra le mie dita
ma, triste sorpresa, ho incontrato un muro.